Il cuore del generale


psicostasia2Gli antichi egizi credevano nell’esistenza della vita dopo la morte. Il libro dei morti era un testo sacro rappresentato da una raccolta di formule magiche che dovevano servire a proteggere il defunto e ad accompagnarlo durante il suo viaggio verso l’aldilà. Questo viaggio era pieno di insidie e di ostacoli e solo quelli che li superavano potevano accedere ad una specie di paradiso rurale governato da Osiride, dio dell’oltretomba. Tra gli ostacoli e le prove da superare c’era quella della psicostasia, che consisteva nella pesatura del cuore.

La cerimonia della psicostasia è visibile su papiri e sarcofagi esposti nei musei egizi di mezzo mondo. I disegni mostrano il cuore del morto su un piatto della bilancia mentre sull’altro piatto è posta la piuma di Maat, dea della giustizia, della verità e dell’ordine cosmico. Nell’iconografia egizia Maat ha le sembianze di una donna con una piuma sul capo. Secondo il libro dei morti, prima della pesatura il defunto doveva confessarsi e proclamare di non aver commesso una serie peccati. Se il cuore pesava più della piuma il defunto veniva divorato da Ammet, un mostro terrificante con la testa di coccodrillo e il corpo metà leone e metà ippopotamo. Se il cuore pesava come la piuma la confessione era stata veritiera e il defunto andava verso la vita eterna.

Il culto dei morti riguardava in modo particolare i faraoni. Per permetterne la vita anche dopo la morte i corpi dei faraoni venivano mummificati. Insieme alla mummia nella tomba venivano messi svariati oggetti appartenuti al defunto e con essi il libro del morto. Tutto ciò avvenne per circa due millenni e fino a poco più di duemila anni fa. Persiani, greci, romani, bizantini, arabi e turchi modificarono poi costumi e credenze.

Oggi i faraoni non ci sono più e nonostante l’Egitto da svariati decenni abbia un parlamento, la democrazia è ancora ben lungi dall’affermarsi. Nel luglio 2013 un colpo di stato ha portato alla guida del paese il generale Abd al-Fattah al-Sisi. 

Il 3 febbraio scorso il corpo martoriato di Giulio Regeni è stato trovato sul ciglio della strada Cairo – Alessandria. Regeni era un ricercatore italiano dell’università di Cambridge ed era in Egitto per effettuare studi sui sindacati egiziani.

La drammatica vicenda del ricercatore italiano è diventata un caso politico-diplomatico tra Italia ed Egitto. Da chi e perché Regeni è stato ucciso? La famiglia di Giulio vuole la verità. L’Italia intera vuole la verità. E anche gli egiziani vogliono la verità, almeno quelli contrari al regime. Ma la verità è resa difficile dal muro di gomma delle manipolazioni delle prove e dei depistaggi effettuati dalle autorità egiziane. 

Il sospetto è che dietro manipolazioni e depistaggi ci siano i servizi segreti. Nelle ultime settimane sono emersi particolari inquietanti che fanno sospettare che dietro l’omicidio ci possa essere persino la persona di al Sisi. Ieri, 13 aprile, il generale è intervenuto pubblicamente negando che i servizi segreti abbiano responsabilità nell’uccisione di Regeni e sostenendo che dietro l’omicidio c’è “gente malvagia”. Ma non ha aggiunto nulla che potesse chiarire chi sarebbero i malvagi. Ha però invitato la stampa a “non dipendere dai social network per scrivere i loro articoli sull’Egitto: il rischio è di innescare un vortice senza fine di voci e accuse infondate”.

Dunque, secondo al Sisi, esiste la malvagità a questo mondo. Non che non ce ne fossimo accorti. E che la malvagità esistesse lo sapevano i suoi stessi avi. Pronunciate dal capo di uno stato che ambisce al rispetto della comunità internazionale e forse anche del suo popolo, le parole del generale al Sisi appaiano insufficienti e offensive delle altrui intelligenza e dignità. Esse rappresentano un goffo tentativo di giustificare la mancanza del rigore e dell’impegno che avrebbero dovuto portare all’accertamento della verità e banalizzano l’intera vicenda persino sul piano morale. Banalità del male. Con le sue parole il generale ha preso a schiaffi due millenni di storia del suo stesso paese dimenticando la grandezza della civiltà che in esso vi visse.

di Pasquale Episcopo

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